Nel novembre 2017 ho
vissuto per due settimane nella missione di Getche, piccola realtà
spersa negli altipiani etiopici a 5 ore d'auto da Addis Abeba. Paolo,
italiano che vive in Etiopia da più di dieci anni e che mantiene i
contatti con molte missioni sparse nel paese, e l'associazione italiana di ostetriche Mam Beyond Borders mi hanno aiutato ad
organizzare questa esperienza.
Getche è un villaggio
rurale fatto di tukul (case tipiche di questa regione) dove la gente
vive di agricoltura e pastorizia; non è difficile incontrare sulle
strade capre, pecore, vacche e asini. Si tratta di una posto antico
come il mondo, in cui il tempo si è fermato; il paesaggio, che vista
l'altura (circa 2.000 mt. s.l.m.) non è completamente arido, si
estende per km e km sempre uguale a se stesso. La sensazione è di
essere nell'Africa più pura, dove il tempo e lo spazio sembrano
ripetersi senza fine, proprio come un'ipnotica cantilena africana.
La missione di Getche è
composta da una clinica ostetrica per le partorienti, un ambulatorio
per le medicazioni urgenti, un asilo-scuola per i bimbi dai 3 ai 10
anni e la missione delle Figlie della Misericordia e della Croce,
dove vivono e pregano le Suore e vengono ospitati i volontari.
Nella mia avventura in
Etiopia, condivisa con alcune giovani ostetriche italiane, mi sono
dedicato alle adozioni a distanza e alla scuola, “schedando” i
nuovi bambini e proponendo alcune attività ludico-motorie.
Considerando l’isolamento geografico in cui si trova Getche, la
struttura scolastica è buona (ad es. i pavimenti sono piastrellati),
le aule sono ampie e ariose, anche se sovraffollate da 40/50 bambini
per classe.
I primi momenti passati
nella scuola - come spesso mi accade - sono caratterizzati da un po’
di diffidenza nei miei confronti, soprattutto da parte dei bimbi più
piccoli che non sono abituati alla presenza di ferengi (straniero, in
lingua amarica). Ma in poche ore, dopo aver fatto vedere un po’ di
giochi e attività, l'entusiasmo della folla di folletti neri mi
travolge. Non è facile interagire con tutti nel chiassoso
divertimento delle classi; il tutto è reso più complicato dal fatto
che solo qualche maestro parla inglese.
Tra un gioco e un canto
l'attività si protrae fino alle 12.30; a quell’ora un festoso
corteo di bimbi etiopi si dirige verso la mensa per godere della cosa
(probabilmente) più bella della loro giornata: un bel pasto caldo.
Nel pomeriggio la scuola
e l’ambulatorio rimangono chiusi; insieme alle ragazze ostetriche
c’è tempo per uscire e visitare i villaggi vicini. Qui la gente
vive immersa nella povertà, ma la tradizione ed il contesto rurale
la rendono più dignitosa della miseria che si incontra nei sobborghi
urbani. Tuttavia Getche rimane uno di quei posti che ti lascia dentro
molte domande senza offrirti grandi risposte; è un quesito
irrisolto. Ed in effetti in Africa tutto è difficile, o quasi. Solo
la natalità non sembra essere un problema: a pensarci bene, però,
qui è facile fare un bambino ma forse è più difficile far crescere
un uomo.
A Getche, comunque, una
grande risposta la trovi ammirando la forza delle donne: quelle
etiopi, costrette a lavorare la terra, fare figli e sistemare “casa”
nella quasi totale assenza di supporto maschile; le Suore della
missione, donne che ogni giorno dedicano la loro vita ad aiutare
concretamente le famiglie più in difficoltà della zona; ed, infine,
le ostetriche italiane, giovani ragazze che hanno deciso con coraggio
di affrontare questa realtà e le sue contraddizioni, operando in un
contesto difficile con l’entusiasmo ed il sorriso dei 20 anni.
La risposta di Getche sta
nel cuore delle donne!