mercoledì 7 novembre 2018

Non c'è niente da fare

Non c'è niente da fare. Non è facile stare nel mondo a certe altezze. L'altitudine, le ripide salite per raggiunge le comunità più isolate, il sole cocente di mezzogiorno e la brezza del tramonto, il fiato corto dei miei 41 anni contro quello dei polmoni allenati dei bambini di Guanazan; tutto ciò ha reso impegnativa l'avventura Ecuadoriana. Ma questo lo sapevo ancor prima di partire.
Ciò che però non potevo immaginare e che ha travolto le mie puerili lamentele, ha preso il nome di Hannibal. Nonostante il nome poco 'rassicurante', questo sorridente bambino ecuadoriano di 8 anni si fa due ore di cammino al mattino per arrivare alla scuola di Guanazan e ovviamente due al pomeriggio per tornare. Un giorno ho deciso di accompagnarlo a casa su quei sentieri durissimi; nonostante lui giocasse a calciare i sassi, io faticavo a seguirlo. È uno dei tantissimi bambini che in questi mondi paralleli al nostro si fanno ore di cammino per raggiungere una scuola e studiare insieme agli amici; succede in Africa, in Asia e in America Latina. Ciò che accade meno spesso è raccontare che Hannibal fa tutto questo e molto di più, sin dalla nascita, su una gamba sola, reggendosi su una stampella improvvisata e su una solarità che illumina le montagne vicine: lui, per me, è un EROE!! (mi ricorda il protagonista del libro 'Lo scudo di Talos').
Non c'è proprio niente da fare: io ho ancora molta strada da percorrere per stare nel mondo liberandomi da ciò che mi frena. 

sabato 27 ottobre 2018

Oltre le nuvole

Salendo per la strada sterrata che conduce ai 2700 metri slm di Guanazan, ho incontrato un fitto strato di nuvole, quasi volessero proteggere le cime delle montagne circostanti. In quel momento mi è tornato alla mente un consiglio tecnico di un'amica fotografa: su stampa, un cielo completamente limpido risulta essere piatto, mentre le nuvole permettono di dare profondità al cielo. A pensarci bene, però, le nubi possono dare profondità anche al nostro vivere e ai rapporti con gli altri, talvolta rafforzandone le relazioni.
E allora ho capito che la strada per Guanazan mi ha insegnato che solo le nuvole, ed il coraggio che serve per attraversarle, potranno portarmi un giorno su una vetta di pace e serenità.

mercoledì 17 ottobre 2018

Ritrovarsi in quota

Si riparte. Dopo le avventure primaverili in Armenia e Bielorussia, in questo caldo ottobre che veste ancora i colori dell'estate, salirò in quota, a respirare.
La mia prossima destinazione è l'Ecuador, un paese andino dell'America Latina.
A Guanazan, piccolo villaggio sopra i 2600 metri, troverò l'ossigeno che manca nelle nostre città inquinate di fumo e di fama.
Incontrerò le tradizioni delle comunità montane, per tornare ai valori autentici di una semplicità antica ormai perduta.
Avrò poco 'campo' per connettermi, ma tanto terreno per stare a contatto con la natura.
Ammirerò la bellezza della montagna che toglie il fiato, da scalare tenendo i piedi a terra ma alzando gli occhi al cielo.
Seguirò i sentieri più ripidi, quelli che mi porteranno lontano da tutto avvicinandomi a quello che conta.
Cercherò di arrivare in vetta, dove la vicinanza alle stelle mi aiuterà a sognare.
Insomma, salirò in quota, per scendere in profondità.
Vamos niño

lunedì 21 maggio 2018

Sul velluto

Tra le montagne, i laghi, i monasteri, le strade polverose dei piccoli villaggi, nel vivace centro della capitale Yerevan, in mezzo ad un gregge di pecore su folcloristici taxi locali. 





L'Armenia per me è stato tutto questo, ma soprattutto è stato trovarsi a vivere i giorni del riscatto armeno, dentro la storia di quella che sui libri verrà ricordata come la "Rivoluzione di Velluto", contestazione non violenta del popolo contro l'oligarchia locale. 


Giorni passati in mezzo alla gente e agli amici armeni che mi hanno condotto fino al piccolo villaggio montano di Krasar per visitare la "Scuola Verona", costruita dopo il terremoto armeno dell''88 grazie ad una raccolta fondi dei cittadini veronesi.




Vivere ospitati da una famiglia armena al "confine" turco - georgiano mi ha avvicinato al "limite" dell'esistenza, alla vita dignitosa ma umile di queste persone, alla drammatica storia del popolo armeno (ancor oggi in guerra), alle loro emozioni.


Nonostante la lingua, non è stato un problema comunicare con la gente locale e regalare un pò di felicità ai piccoli della Scuola di Krasar. Ho viaggiato sul "velluto", tessuto emblema di ricchezza e preziosità proprio come le persone che ho avuto la fortuna di incontrare!!!







lunedì 16 aprile 2018

Il setaccio

Mai come questa volta molti mi hanno chiesto 'Perché hai scelto questa destinazione?'; alcuni avranno anche pensato 'perché è un bel posto', pur non sapendo nemmeno dove collocare geograficamente la mia prossima meta.
Per me il viaggio ha sempre una valenza bidimensionale: i luoghi e le persone. È normale desiderare di visitare 'un bel posto'; viaggiare, però, non è solo vedere ma è anche 'sentire' . La vista è un senso sopravvalutato (cit.) e, a volte, vedere meno ti permette di osservare di più.
Per questo nei miei viaggi cerco la bellezza più profonda proprio nel contatto con le persone, con la tradizione e la cultura locale; per trovarne di più vera bisogna allontanarsi dalle destinazioni battute dal turismo di massa che, purtroppo, sta uniformando buona parte del nostro pianeta.
E così setaccio il mondo che mi circonda, alla ricerca di pietre preziose da incastonare nel mosaico del mondo che porto dentro.
Sento già che, presto, troverò un altro piccolo grande tesoro: l’Armenia!

mercoledì 21 febbraio 2018

Etiopica-mente

Viaggiare è mettere in discussione le nostre piccole e grandi certezze. E in Etiopia ho discusso parecchio ... soprattutto con me stesso.

Il cibo: de gustibus!
L'injera è il piatto tradizionale dell'Etiopia, si tratta di una sfoglia di pasta con sopra carne e spezie varie. E' un piatto molto gustoso da condividere insieme ad altri mangiandolo con le mani. L'injera è fatta con il tef, cereale coltivato in Etiopia ed Eritrea che risulta privo di glutine; ciò dovrebbe renderlo molto appetibile nei nostri mercati alla ricerca di alimenti più "salutari". Chissà se l'Etiopia saprà sfruttare questa risorsa.

Terminato l'injera segue il rito della tostatura del caffè. Buonissimo il profumo dei chicchi scottati sul fuoco. A volte, però, il caffè viene servito con il sale.

In qualche occasione ho dovuto mettere in discussione anche il nostro sopraffino palato italico, soprattutto quando ho visto un piccolo etiope sputare disgustato un famoso snack al cioccolato che ha fatto sognare generazioni di bambini italiani. E così pure con il formaggio grana, poco gradito dai locali che, ovviamente, preferiscono il  loro formaggio, chiamato Kocho. Peccato che dalla foto non si possa sentire l'intensissimo "profumo" di Kocho che pervadeva interi mercati.


I mezzi di trasporto
Tra le strade piene di asini, muli, cavalli e carretti, sfrecciano i Bajaj, equivalenti dei Tuk tuk del Kenya, che posso ospitare - in posizioni laocoontiche - fino a 5 persone.


Mi è anche capitato di fare l'autostop e salire sul cassone di un camion carico di merce. Ma soprattutto in Etiopia ho riscoperto la forza delle gambe; km e km di camminate per raggiungere i villaggi più sperduti insieme ad adulti e bambini che fanno questi percorsi tutti i giorni per l'acqua, il mercato o semplicemente per andare a scuola.



Una lingua... senza futuro!
Quando sono sceso in Etiopia sapevo che la lingua sarebbe stato un problema. Scoprire però che l'amarico (lingua ufficiale etiope), oltre a non utilizzare i caratteri e la fonetica latina, è una lingua senza "futuro" (cioè senza tempo futuro dei verbi), mi ha fatto capire l'importanza che ha il presente nella prospettiva culturale locale. 
Le poche parole che sono riuscito a memorizzare al primo ascolto sono frutto del "lascito" dell'occupazione italiana; infatti alcuni termini nostrani sono sopravvissuti fino ad oggi, come ad esempio gommista, dentista etc..


Il tempo ... che conta
Il tempo è un concetto cardine della nostra cultura occidentale. Facciamo di tutto per misurarlo, facciamo tutto di fretta per non perderlo e quello che ci avanza lo recuperiamo "divanati" davanti alla TV. Strano il nostro concetto di tempo perso e ... recuperato!
In Etiopia, invece, tutto è più fluido, gli orari un optional, la puntualità una possibilità, l'attesa non è mai vissuta come tempo perso. Anche l'età, per molti, è un numero sconosciuto. In questi posti dove tutto è legato alle stagioni e alle ore di luce è bello abbandonarsi al tempo che conta, senza l'ansia di contare il tempo.
Anche il calendario etiopico è diverso dal nostro; sono sceso nel "nostro" novembre 2017 e mi sono ritrovato a Getche nel marzo 2010, ringiovanito di ben 7 anni e 113 giorni (pari al ritardo del calendario etiopico sul nostro riferimento cristiano; il capodanno corrisponde all'11 settembre).


Il mio viaggio in Etiopia è stato scoprire tutto questo... e tanto altro. Per mettere in discussione soprattutto me stesso, le mie posizioni e le mie convinzioni.
ETIOPICA-MENTE