Stare al mondo o stare nel mondo?
El Salvador è un piccolo fazzoletto di
terre montagnose e vulcaniche arse dal sole centroamericano che si
adagiano sull’oceano pacifico.
Il paese è lacerato da una
guerra civile interna durata circa un decennio a cavallo degli anni
80 e 90: le violente ostilità, caratterizzate dal martirio di
diversi fedeli cristiani, tra cui l’uccisione durante una
celebrazione di Monsignor Romero (arcivescovo salvadoregno
recentemente beatificato), hanno cancellato parte della tradizione
salvadoregna, che rimane viva solo in remoti angoli della regione.
La mia avventura inizia
con l’arrivo a San Salvador, capitale del paese centroamericano,
dove dilaga la corruzione politica e la violenza dei
narcotrafficanti: queste zone sono considerate tra le più pericolose al mondo in tempo di pace!
La capitale è presidiata dalla
polizia. Esco solo accompagnato da locali. I "gringo" sono facili obiettivi per la malavita ... delle vere e proprie "mosche bianche"! In San Salvador assisto, durante il giorno, ad arresti, inseguimenti (anche in elicottero) delle
forze di sicurezza e ad una “visita” della polizia in assetto
anti sommossa durante una cerimonia in Cattedrale.
In cripta le celebrazioni sono molto “originali”...non mancano bandiere palestinesi e l’icona di Chavez, ex presidente venezuelano.
In cripta le celebrazioni sono molto “originali”...non mancano bandiere palestinesi e l’icona di Chavez, ex presidente venezuelano.
Sercoba è l’associazione
salvadoregna che mi ospita; è nata per volere della Signora
Mariella, missionaria laica italiana, e Padre Tilo, sacerdote
salvadoregno, coadiuvati da vari collaboratori locali (chiamati
promotori).
L’associazione si occupa di educare e
coscientizzare le persone salvadoregne su importanti temi
socio-culturali (il diritto all’acqua pubblica, l’ecologia,
l’educazione alimentare, la medicina naturale, progetti di appoggio
all’economia delle famiglie). In questa foto, manifestazione
davanti al parlamento per il diritto all’acqua.
Grazie a Sercoba, ho il privilegio di
essere ospitato da alcune famiglie di due comunità, in Llano de la
Virgen e San Francisco, piccoli villaggi dell’entroterra
salvadoregno raggiungibili dopo molte ore di bus o di auto anche su
strade non asfaltate.
In queste piccole comunità si respira
un’aria di serenità e tranquillità, molto diversa dalla capitale;
non ci sono bar, locali, ristoranti, supermercati, farmacie. Solo una
chiesa, una scuola e le abitazioni dei contadini fatte in muratura e
lamiera, tutte dotate di un piccolo cortile con qualche pianta da
frutto, qualche animale (cani, gatti, galline, oche, maiali) e
(ahimè) diversi rifiuti sparsi un po’ ovunque.
Le famiglie che mi ospitano si
dimostrano fin da subito molto disponibili: in questo contesto, il
poco diventa molto.
Queste comunità vivono coltivando mais
e fagioli e allevando qualche animale.
Qui non esistono negozi ma alcune
famiglie fungono da piccolo market; è insolito entrare in una casa, aprire il frigo, prendere quel che si
desidera e pagare. E per la sera non ci sono locali, birrerie,
ristoranti, cinema: l’unica vera alternativa ad un falò notturno
sono alcune famiglie che preparano le pupuse (gustose tortillas
ripiene di formaggio e fagioli). Questa è vita di comunità!
Vivere con questa gente e come questa
gente mi permette di condividere molte cose: il cibo, molto gustoso
ma non molto vario (tortillas fagioli mais mango), il dormire nelle
loro case, nell’incessante ronzio di insetti e abbaiare di cani, il
bagno (a volte è preferibile la fitta boscaglia ), il lavarsi con
una semplice ciotola attingendo acqua dalla vasca. Tutte cose che
riportano la mia esistenza ad una dimensione più … naturale.
Nelle comunità c’è una scuola
elementare; dopo gli 11 anni chi studia deve spostarsi, dopo ore di
bus, nei villaggi vicini. I ragazzi delle comunità raramente vanno in
capitale e pochi hanno visto l’oceano; di sicuro nessuno di questi
ambisce a vivere in una città pericolosa e violenta come San
Salvador.
In questi villaggi la gente non pare
soffrire di fame, ha di che vestirsi e le case mi sembrano in gran
parte dignitose. Una cosa che mi sorprende è che diversi
salvadoregni sono ben nutriti e con smartphone di ultima generazione.
L’obesità di questi salvadoregni è
legata alla mancanza di cultura alimentare (e forse anche all’atavica
ingordigia di chi, storicamente, ha digiunato a lungo) che li porta a
mangiare quantità esagerate di carboidrati e proteine (tortillas e
fagioli). Le numerosissime catene di fast-food presenti nella
capitale ne sono una triste conferma.
E’ così pure per i cellulari.
Infatti, osservo diversi giovani costantemente incollati al loro
smartphone intenti a messaggiare freneticamente; di alcuni di loro ho
solo ricordi e foto con il telefonino in uso. E mi viene da pensare
che questi ragazzi di queste sperse comunità salvadoregne vivano,
senza colpa, “fuori” dal mondo, in un misto di isolamento
geografico ed emarginazione tecnologica. E’ amaro constatare che
sembra essere proprio l’”isolamento” tecnologico ad “unire”
queste lontane comunità salvadoregne con la realtà da cui provengo.
Con i salvadoregni tento di parlare un
po’ di spagnolo, pur non conoscendolo; in qualche modo riesco a
cavarmela. D’altra parte la lingua serve per parlare; ma per
comunicare - che è ben altra cosa - è necessario conoscere il
linguaggio universale dell’umanità. E sarà forse per questo che
quando mi perdo nell’animazione con i bimbi, ritrovo tutto più
semplice da comprendere.
Mi tuffo così nelle attività di
intrattenimento. L’incanto dei più piccoli - e non solo - di
fronte ai palloncini, alle bolle di sapone giganti e al
paracadute (un ampio telo circolare colorato) mi convince, ancora una
volta, che quando smetterò di giocare non diventerò più adulto ma
sarò solamente più spento.
Alle attività di intrattenimento
alterno i giochi di gruppo che propongo con materiale di riciclo;
trovo vecchi giornali, cucchiai di plastica, vecchie palline,
elastici, bottiglie di plastica e spaghi da cui trarre spunto… non
conta con cosa giochi ma come lo fai.
Nelle mie varie esperienze di
animazione nel mondo, il gioco sembra unire proprio tutti… i bimbi,
i giovani e gli adulti, in una collaborazione che ogni volta rinnova
la mia gioia di stare nel mondo dei piccoli ma anche dei grandi
attraverso il gioco.
Nonostante ciò, El Salvador è una mia
prima volta.
Per la mia prima volta, infatti,
l’esperienza di viaggio ha significato condividere qualcosa di più
dell’animazione per i bambini. Ha significato passare diversi
giorni e notti come ospite di alcune famiglie di queste comunità. Ha
significato avere il privilegio di vivere con la gente e come la
gente del posto. Ha significato conoscere Mariella e Padre Tilo,
persone che hanno già scritto una piccola grande pagina della storia
di El Salvador.
Ed ora capisco che tutto questo, per
me, significa qualcosa di più del solo stare al mondo. Significa
stare nel mondo. Significa partecipare al girotondo d’anime
dell’umanità.
El Salvador, 10 - 26 Aprile 2015
I bambini sanno qualcosa che la maggior parte della gente ha dimenticato.
I bambini sanno qualcosa che la maggior parte della gente ha dimenticato.
K. Haring
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