“Per fare tutto ci vuole un fiore”
… recita una vecchia canzone italiana per bambini.
Questo verso, scritto da Sergio
Endrigo, risuona oggi nella mia mente a ricordo di una intensa
esperienza che ho vissuto nelle Filippine, a Metro Manila (Quezon
City), ospite delle suore della Scuola Fiore del Carmelo.
Il tutto ha inizio dopo aver conosciuto
la Fondazione Aiutare i Bambini (oggi Mission Bambini) che si occupa
di finanziare progetti di sostegno per l’infanzia in tutto il
mondo. Molti di questi progetti sono visitabili da volontari; tra i
tanti, mi viene proposto di visitare, nel mese di novembre 2014, la
scuola Fiore del Carmelo, dove la Fondazione sostiene le spese per la
scolarizzazione di parte dei bambini.
Metro Manila è una metropoli
contraddittoria; il centro, la cosiddetta city, è costellato di
grattacieli, centri commerciali, insegne luminose e un groviglio
incomprensibile di strade, dove circolano auto di lusso, suv e
Jeepney (Jeep americane della seconda guerra mondiale riadattate come
minibus per la gente più povera).
Un quartiere per “ricchi” di Metro
Manila si chiama come la mia città, con riproduzioni fotografiche di
Verona.
Uscendo verso la periferia di questa
enorme metropoli (circa 20 milioni di abitanti) le cose iniziano a
cambiare e si cominciano a vedere i primi “slum”, vere e proprie
distese di baracche.
La scuola Fiore del Carmelo sorge a
Quezon City (una delle 14 città che costituisce Metro Manila), ai
margini di una di queste baraccopoli.
All’arrivo, le Sisters (suore) si
dimostrano fin da subito ospitali e premurose con me, Roberta e Carlo
(i miei compagni di avventura), accogliendoci con una festa dove i
bambini e i ragazzi della scuola cantano e ballano per noi; rimango
incantato per quanto preparato per il nostro arrivo.
La cosa che però mi colpisce di più è
la coesione tra studenti, insegnanti e Sisters; un microcosmo
perfetto, dove regna armonia, entusiasmo e tanta energia positiva.
Per noi volontari, la visita alla
scuola è occasione per verificare lo stato del progetto e fare
animazione con i bambini. L’attività scolastica inizia presto,
alle 7.30 del mattino, e si protrae fino al pomeriggio; la scuola è
bella, pulita ed in ordine; si tratta di una struttura che ha poco da
invidiare a quelle italiane, dove i bambini dai 4 anni fino ai
ragazzi di 14 anni possono giocare e studiare in tutta tranquillità.
Dal giorno successivo al nostro arrivo,
io, Roberta e Carlo iniziamo le nostre attività di animazione con i
bambini dai 4 anni fino agli 8 anni, presentandoci con vari giochi
introduttivi, tra i quali quello con la matassa di filo (emblema del
groviglio di domande che questa esperienza lascerà dentro di me), un
moderno filo d’Arianna che unisce idealmente i piccoli filippini a
noi animatori italiani.
Nelle due settimane spese nella scuola,
proponiamo ai bimbi i colori vivaci del “paracadute”, dei
palloncini e dei disegni, alternati alla magica trasparenza delle
bolle di sapone, quelle giganti, quelle che meravigliano anche noi
adulti.
Si passa, poi, alle gare a squadre con
la palla, ai balli di gruppo, fino ad arrivare ai giochi dove si
utilizza materiale povero (bicchieri e cucchiai di plastica),
nell’intento di ricordare che, attraverso la creatività, con poco
si può giocare e divertirsi.
I bambini sono il cuore della scuola;
saltano, urlano, abbracciano … e soprattutto sorridono. La gioia
nei loro occhi moltiplica le mie forze. Ciò che mi sorprende è
l’entusiasmo e la vitalità delle giovani Sisters della scuola, che
ballano, scherzano, cantano e giocano con i bambini … e con noi;
anche le Sisters hanno un cuore di bambino ed è bello che lo
manifestino con tanta purezza. Allontano così dalla mia mente il
prototipo della suora anziana e severa che aveva popolato i miei
pensieri di fanciullo.
Alla fine della giornata, dopo molte ore passate
nella scuola, è d’obbligo un giro nel quartiere da dove vengono i
nostri gioiosi bambini. Ed è li che apro gli occhi sulla realtà
degli “slum”; le cose non sono così belle, pulite e colorate
come nella scuola. Bastano 300 metri dalla scuola per entrare nel
quartiere di “Happyland” (letteralmente Terra della Felicità),
pochi passi per scoprire l’amara ironia che nasconde quel nome.
I vicoli tra le baracche sono così
stretti e bassi che spesso devo fare dei mezzi avvitamenti e chinarmi
per poter passare; il caldo umido si mescola con l’odore acre dello
smog proveniente dalle strade, i rifiuti, abbandonati ovunque,
alimentano l’insistente ronzare delle mosche vicino alle fogne a
cielo aperto; i cani randagi, magri e malaticci, non hanno nemmeno la
forza di abbaiare, quasi consapevoli del triste destino che li
accomuna ai loro padroni; i galli, legati all’uscio delle case,
ricordano il macabro e spietato rituale dei combattimenti tra
animali; le baracche, fatte di lamiera o plastica, sono buchi di
pochi metri quadri, dove si affollano adulti e bambini, con
conseguenti problemi di promiscuità. Inspiegabile come da quelle
baracche possano uscire dei bambini che, quando si presentano a
scuola, sono puliti e con la divisa in ordine.
Tutto mi fa pensare più ad un inferno di cemento che ad una terra della felicità.
Ed in tutto quel drammatico caos di
odori, sporcizia e lamiere, mi convinco che la miseria urbana ha
qualcosa di più duro e ostile della povertà rurale, dove la natura,
con il suo fascino e la sua bellezza, riesce, in piccola parte, a
lenire le sofferenze umane. La natura consola. Qui, invece, in
qualsiasi direzione io posi lo sguardo, vedo qualcosa di “brutto”
che amplifica la miseria che circonda queste persone, una miseria
materiale … e psicologica. Non di rado si incontrano per le strade
studenti del Fiore, ma alcuni di questi, tolta la divisa scolastica,
fatico a riconoscerli in mezzo ai colori spenti dello “slum”.
Nelle mie esperienze di animazione ho
giocato con i bimbi di tutto il mondo: nei centri ricreativi in
Italia, davanti all’oceano in Mozambico, ai piedi del gruppo
dell’Himalaya in Nepal, nella savana in Kenya e nel deserto
Brasiliano… ma giocare qui mette i brividi.
Però i sorrisi dei
piccoli riescono ad illuminare anche questi vicoli.
Ed è meraviglioso vedere che la luce
può arrivare anche da chi, a dispetto del tempo, conserva un cuore
di bambino!
Ripensando a ciò che ho visto negli
“slum” mille domande intasano la mia testa, molte di queste
destinate a rimanere senza risposta.
Ciò che, invece, posso dire con
certezza è che la scuola Fiore del Carmelo, grazie all’entusiasmo
delle Sisters e al grande supporto degli insegnanti, riesce a dare
educazione e serenità a questi bambini sfortunati, tenendoli
lontani, durante il giorno, da quell’inferno di lamiere e polvere
che è lo “slum”.
La scuola è, di nome e di fatto, un
fiore nel cemento… un fiore che consola educando i bambini.
E dall’educazione delle nuove
generazioni dipende il futuro del mondo … che a me sembra molto, se
non addirittura tutto!
Per fare tutto ci vuole un Fiore.
Metro Manila, Filippine, 17 novembre - 7 dicembre 2014
“E’ più facile insegnare che educare, perché per insegnare basta sapere, per educare è necessario essere.” (Alberto Hurtado)
“E’ più facile insegnare che educare, perché per insegnare basta sapere, per educare è necessario essere.” (Alberto Hurtado)
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