venerdì 21 agosto 2015

UN FIORE NEL CEMENTO - FILIPPINE

“Per fare tutto ci vuole un fiore” … recita una vecchia canzone italiana per bambini.

Questo verso, scritto da Sergio Endrigo, risuona oggi nella mia mente a ricordo di una intensa esperienza che ho vissuto nelle Filippine, a Metro Manila (Quezon City), ospite delle suore della Scuola Fiore del Carmelo.



Il tutto ha inizio dopo aver conosciuto la Fondazione Aiutare i Bambini (oggi Mission Bambini) che si occupa di finanziare progetti di sostegno per l’infanzia in tutto il mondo. Molti di questi progetti sono visitabili da volontari; tra i tanti, mi viene proposto di visitare, nel mese di novembre 2014, la scuola Fiore del Carmelo, dove la Fondazione sostiene le spese per la scolarizzazione di parte dei bambini.

Metro Manila è una metropoli contraddittoria; il centro, la cosiddetta city, è costellato di grattacieli, centri commerciali, insegne luminose e un groviglio incomprensibile di strade, dove circolano auto di lusso, suv e Jeepney (Jeep americane della seconda guerra mondiale riadattate come minibus per la gente più povera).


Un quartiere per “ricchi” di Metro Manila si chiama come la mia città, con riproduzioni fotografiche di Verona.

Uscendo verso la periferia di questa enorme metropoli (circa 20 milioni di abitanti) le cose iniziano a cambiare e si cominciano a vedere i primi “slum”, vere e proprie distese di baracche.


La scuola Fiore del Carmelo sorge a Quezon City (una delle 14 città che costituisce Metro Manila), ai margini di una di queste baraccopoli.
All’arrivo, le Sisters (suore) si dimostrano fin da subito ospitali e premurose con me, Roberta e Carlo (i miei compagni di avventura), accogliendoci con una festa dove i bambini e i ragazzi della scuola cantano e ballano per noi; rimango incantato per quanto preparato per il nostro arrivo.

La cosa che però mi colpisce di più è la coesione tra studenti, insegnanti e Sisters; un microcosmo perfetto, dove regna armonia, entusiasmo e tanta energia positiva.


Per noi volontari, la visita alla scuola è occasione per verificare lo stato del progetto e fare animazione con i bambini. L’attività scolastica inizia presto, alle 7.30 del mattino, e si protrae fino al pomeriggio; la scuola è bella, pulita ed in ordine; si tratta di una struttura che ha poco da invidiare a quelle italiane, dove i bambini dai 4 anni fino ai ragazzi di 14 anni possono giocare e studiare in tutta tranquillità.


Dal giorno successivo al nostro arrivo, io, Roberta e Carlo iniziamo le nostre attività di animazione con i bambini dai 4 anni fino agli 8 anni, presentandoci con vari giochi introduttivi, tra i quali quello con la matassa di filo (emblema del groviglio di domande che questa esperienza lascerà dentro di me), un moderno filo d’Arianna che unisce idealmente i piccoli filippini a noi animatori italiani.

Nelle due settimane spese nella scuola, proponiamo ai bimbi i colori vivaci del “paracadute”, dei palloncini e dei disegni, alternati alla magica trasparenza delle bolle di sapone, quelle giganti, quelle che meravigliano anche noi adulti.



Si passa, poi, alle gare a squadre con la palla, ai balli di gruppo, fino ad arrivare ai giochi dove si utilizza materiale povero (bicchieri e cucchiai di plastica), nell’intento di ricordare che, attraverso la creatività, con poco si può giocare e divertirsi.



I bambini sono il cuore della scuola; saltano, urlano, abbracciano … e soprattutto sorridono. La gioia nei loro occhi moltiplica le mie forze. Ciò che mi sorprende è l’entusiasmo e la vitalità delle giovani Sisters della scuola, che ballano, scherzano, cantano e giocano con i bambini … e con noi; anche le Sisters hanno un cuore di bambino ed è bello che lo manifestino con tanta purezza. Allontano così dalla mia mente il prototipo della suora anziana e severa che aveva popolato i miei pensieri di fanciullo.


Alla fine della giornata, dopo molte ore passate nella scuola, è d’obbligo un giro nel quartiere da dove vengono i nostri gioiosi bambini. Ed è li che apro gli occhi sulla realtà degli “slum”; le cose non sono così belle, pulite e colorate come nella scuola. Bastano 300 metri dalla scuola per entrare nel quartiere di “Happyland” (letteralmente Terra della Felicità), pochi passi per scoprire l’amara ironia che nasconde quel nome.



I vicoli tra le baracche sono così stretti e bassi che spesso devo fare dei mezzi avvitamenti e chinarmi per poter passare; il caldo umido si mescola con l’odore acre dello smog proveniente dalle strade, i rifiuti, abbandonati ovunque, alimentano l’insistente ronzare delle mosche vicino alle fogne a cielo aperto; i cani randagi, magri e malaticci, non hanno nemmeno la forza di abbaiare, quasi consapevoli del triste destino che li accomuna ai loro padroni; i galli, legati all’uscio delle case, ricordano il macabro e spietato rituale dei combattimenti tra animali; le baracche, fatte di lamiera o plastica, sono buchi di pochi metri quadri, dove si affollano adulti e bambini, con conseguenti problemi di promiscuità. Inspiegabile come da quelle baracche possano uscire dei bambini che, quando si presentano a scuola, sono puliti e con la divisa in ordine.
Tutto mi fa pensare più ad un inferno di cemento che ad una terra della felicità.


Ed in tutto quel drammatico caos di odori, sporcizia e lamiere, mi convinco che la miseria urbana ha qualcosa di più duro e ostile della povertà rurale, dove la natura, con il suo fascino e la sua bellezza, riesce, in piccola parte, a lenire le sofferenze umane. La natura consola. Qui, invece, in qualsiasi direzione io posi lo sguardo, vedo qualcosa di “brutto” che amplifica la miseria che circonda queste persone, una miseria materiale … e psicologica. Non di rado si incontrano per le strade studenti del Fiore, ma alcuni di questi, tolta la divisa scolastica, fatico a riconoscerli in mezzo ai colori spenti dello “slum”.


Nelle mie esperienze di animazione ho giocato con i bimbi di tutto il mondo: nei centri ricreativi in Italia, davanti all’oceano in Mozambico, ai piedi del gruppo dell’Himalaya in Nepal, nella savana in Kenya e nel deserto Brasiliano… ma giocare qui mette i brividi. 
Però i sorrisi dei piccoli riescono ad illuminare anche questi vicoli.



Ed è meraviglioso vedere che la luce può arrivare anche da chi, a dispetto del tempo, conserva un cuore di bambino!

Ripensando a ciò che ho visto negli “slum” mille domande intasano la mia testa, molte di queste destinate a rimanere senza risposta.
Ciò che, invece, posso dire con certezza è che la scuola Fiore del Carmelo, grazie all’entusiasmo delle Sisters e al grande supporto degli insegnanti, riesce a dare educazione e serenità a questi bambini sfortunati, tenendoli lontani, durante il giorno, da quell’inferno di lamiere e polvere che è lo “slum”.

La scuola è, di nome e di fatto, un fiore nel cemento… un fiore che consola educando i bambini.

E dall’educazione delle nuove generazioni dipende il futuro del mondo … che a me sembra molto, se non addirittura tutto!
Per fare tutto ci vuole un Fiore.


Metro Manila, Filippine, 17 novembre - 7 dicembre 2014

E’ più facile insegnare che educare, perché per insegnare basta sapere, per educare è necessario essere.” (Alberto Hurtado)











Nessun commento:

Posta un commento